Ormai quattro anni fa, ho partecipato a una spedizione organizzata dall’amico fotografo Marco Pieroni in Etiopia. Dico spedizione perché nei due fuoristrada affittati (con autisti, guide e cuoco) avevamo tutto il necessario per essere totalmente autosufficienti in un paese, come l’Etiopia, che in alcuni casi può dimostrarsi molto difficile e inospitale. Soprattutto, ed era quella la nostra intenzione, se si vuole uscire dai percorsi turistici più noti per andare a scoprire, e ovviamente fotografare, realtà e situazioni ancora non troppo contaminate dallo schiacciasassi occidentale (e orientale…). Capace di rendere il più remoto e affascinante villaggio tribale un tr犀利士5mg
iste villaggio vacanze, popolato da figuranti e animatori.
Due le aree del grande paese africano inizialmente scelte, entrambe molto note. La valle del fiume Omo, nel sud, e la Dancalia, all’estremo nord. Della prima vi parlerò sicuramente un’altra volta, della seconda probabilmente no perché non ci siamo mai arrivati! Una partenza dall’Italia ritardata da vari contrattempi burocratici ci aveva, infatti, fatto perdere alcune settimane rispetto al nostro programma di viaggio. Trasformando, il già torrido bassopiano dancalico in una landa totalmente inaccessibile a causa delle altissime temperature (di notte mai meno di 30-32° C…) che la caratterizzano a partire dalla primavera inoltrata. Carte alla mano, e su mio suggerimento, tornati nella capitale Addis Ababa e caricata una nuova scorta di rifornimenti, ci siamo alla fine diretti verso la regione di Gambela (o Gambella, secondo la toponomastica locale). Quello che ci proponevamo era di inoltrarci nell’area che, dall’omonima città, si spinge verso il confine con il Sud Sudan. Un territorio vastissimo e molto poco conosciuto. Tanto che quando alle nostre guide chiesi notizie sul Gambela National Park, mi risposero che non c’era nessun parco nazionale in quella regione dell’Etiopia…
Un parco sconosciuto anche ai locali è, ovviamente, un’attrazione irresistibile, a cui nessun fotografo naturalista (e non solo) può resistere. Per arrivarci un viaggio durato quasi due giorni, con una sosta notturna per dormire nella polverosa e caldissima Metu. Dove il guardiano dell’albergo, chiamiamolo così, quando, per sfuggire alla morsa dell’afa, mi sono affacciato durante la notte dalla porta della mia stanza, mi ha puntato in faccia la sua lampada e il suo Ak-47!.
Un viaggio che ha attraversato zone montuose e semi desertiche del paese, sui cui pochi alberi ho potuto osservare per la prima volta, il colobo bianco e nero orientale (Colobus guereza), una scimmia famosa per la sua enorme coda bianca.
E poi, di sera, l’arrivo a Gambela. Una vera città “di frontiera”. Strade sterrate, polverose, perfette per foto “epiche”. E un’aria in giro da set di uno dei capitoli di Mad Max… In mezzo scorre il Baro River, dove, verso sera, in una fantastica, caldissima, luce del sole che tramonta, centinaia di persone fanno il bagno, lavano la propria biancheria, pescano nel fiume. Il nostro arrivo alla frontiera estrema dell’Etiopia, dove turismo è una parola senza significato, non poteva essere migliore…
Roberto Nistri
Roma, 15 marzo 2017