Febbraio 2018. Partito da San Jose, la capitale del Costa Rica, sono arrivato ai confini del Corcovado National Park dopo un lungo viaggio in macchina, più di nove ore,. E’ quasi sera, ai tropici fa buio presto, e gli ultimi 40 km li ho percorsi su una polverosa strada sterrata, attraversando senza problemi, uno dopo l’altro, una serie di piccoli corsi d’acqua trasparente. Siamo in piena stagione secca, in quella della piogge anche il mio fuoristrada avrebbe probabilmente capitolato di fronte allo scorrere impetuoso di quegli stessi fiumiciattoli, trasformati in ruggenti masse d’acqua limacciosa. Il resort che ho prenotato, e dove mi fermerò alcune notti, è a pochi metri dalla spiaggia di Carate. Forse la più famosa, tra quelle che, per la loro bellezza, hanno reso celebre questo parco.
Manca oramai meno di un chilometro alla mia meta, ma, fermata la macchina vicino ad un varco tra la fitta vegetazione che divide la strada dal mare, cerco un’anteprima di questa affascinante area protettae. La più estesa foresta pluviale costiera dell’intero Centroamerica, questo è il Corcovado. Con il sole ormai quasi tramontato, mi affaccio su una straordinaria distesa di sabbia, completamente deserta, che si estende a perdita d’occhio per chilometri. Scatto con il 24 mm qualche foto, mentre in lontananza una nebbia marina rende indistinti i confini tra le onde oceaniche e gli alberi della foresta, separati dal mare da una sottile striscia di fine sabbia chiara.
Il Corcovado National Park, più di 40.000 ettari di estensione, a cui, lungo i suoi confini, si aggiungono delle estese “buffer zones”, è considerato uno dei luoghi a maggiore biodiversità dell’intero Pianeta. Un selvaggio e incontaminato Eden popolato da oltre 400 specie di uccelli e 140 specie di mammiferi. Qui è ancora possibile incontrare i grandi predatori americani, il giaguaro e il puma, qui vive la più numerosa popolazione di pappagalli ara macao del Costa Rica. E’ qui che, forse, volano ancora, a caccia di scimmie, le ultime, gigantesche, aquile arpia (Harpia harpyja). Considerate estinte nel paese, ma che qualcuno continua ad avvistare in queste foreste. Così impenetrabili e inesplorate, che ci sono voluti dieci anni per ritrovare lo scheletro di un incauto turista americano che vi si era perso…
La mattina dopo, mezz’ora prima dell’alba, sono pronto per la prima uscita fotografica, accompagnato da un’espertissima guida del Finca Exotica Eco Lodge. Lasciata la macchina, percorriamo uno stretto sentiero che taglia la folta vegetazione costiera, e ci avviciniamo silenziosi a una piccola laguna bordata dai canneti. La luce è bellissima, sul mare uno stormo di pellicani bruni (Pelecanus occidentalis) volano sfiorandoo le onde. Mentre sto scattando con il tele delle foto ad alcuni caracara, un rapace comune in Centroamerica, la prima sorpresa. Sulla spiaggia una tartaruga verde (Chelonia myda) è indaffarata a ricoprire con cura le uova che ha appena deposto, pronta a ritornare tra le onde del suo oceano. Qualche foto ravvicinata con il 60 mm macro ed è tempo di tirare nuovamente fuori dallo zaino il Nikon 200-500, “allungato” dal Teleconverter x 1,4. Voglio provare a riprendere i moltissimi uccelli acquatici che passeggiano sulle lingue di sabbia tra la vegetazione che circonda lo specchio d’acqua. La guida mi spiega che è meglio non avvicinarsi troppo alle sponde. Anche se non riesco a vederli, nella laguna vivono dei grossi coccodrilli americani (Crocodylus acutus), da cui è sempre meglio tenersi lontani.
Finite le foto agli uccelli e sulla spiaggia, torniamo verso l’interno, inoltrandoci nella foresta, dove finalmente riesco a immortalare le bellissime ara macao (Ara ararauna). Sono in Costa Rica da tre settimane, ma ho sempre visto questi grandi e coloratissimi pappagalli volare alti sulla mia testa, troppo lontani per tentare uno scatto. Qui, invece, una coppia fa la spola tra alcune palme, attirata dai loro frutti maturi, che a questi uccelli piacciono molto.
Camminare all’interno di una foresta pluviale, nonostante il caldo spesso soffocante, è un’esperienza dal punto di visto fotografico, ma non solo, sempre affascinante. Tra gli alti rami degli alberi, ricoperti di piante epifite, si rincorrono le scimmie urlatrici (Alouatta palliata) e volano moltissimi uccelli dalle livree colorate. Sul terreno, con il 60 mm e i due flash macro, riesco a immortalare insetti, grandi ragni e piccoli rettili, come le lucertole Anolis. In una pozza d’acqua brulicante di vita, un gobide lungo una quindicina di centrimetri, a cui non ho ancora dato un nome, scientifico ovviamente, nuota tranquillo come in un acquario. Sono le dieci, la luce ormai è troppo dura per i miei gusti. Un ultimo scatto a una bella cascata, nascosta nel fitto della vegetazione, e siamo pronti per tornare alla base. Ci aspetta il Leona Gate, da cui partiremo per un’escursione all’interno del parco…
Roberto Nistri
Roma, 23 marzo 2018